Ricorso ex art. 127, comma 2, della Costituzione della Regione Liguria (codice fiscale n. 00849050109), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, dott. Giovanni Toti, con sede legale in Genova, via Fieschi n. 15, rappresentata e difesa, ai fini del presente giudizio, dall'Avv. Pietro Piciocchi del Foro di Genova (C.F.: PCCPTR77H10D969U - PEC: pietro.piciocchi@ordineavvgenova.it), con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Assarotti, 48/6, giusta procura speciale in calce al presente atto e delibera della Giunta regionale n. 148 del 23 febbraio 2024 (doc. n. 1), contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri e legale rappresentante pro tempore; per l'annullamento: - dell'art. 1, comma 494, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione; - dell'art. 1, comma 497, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1, 3, 4 e 5, e 120, comma 2, della Costituzione; - dell'art. 1, comma 533, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1, 3, 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui prevede un contributo alla finanza pubblica a carico dei Comuni delle Regioni a Statuto ordinario e delle Regioni Sicilia e Sardegna pari ad euro 200 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028; - dell'art. 1, commi 534 e 535, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1, 3, 4, e 120, comma 2, della Costituzione; - in via gradata: dell'art. 1, comma 533, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto; - con gli articoli 3, 5, 114, 119, commi 1, 3, 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che anche i Comuni di cui all'art. 43, comma 8, del decreto n. 50 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2022, siano esonerati dal contributo alla finanza pubblica disposto dal primo periodo della medesima disposizione. Fatto Il Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Liguria, istituito con legge regionale n. 11 del 2011, con delibera n. 1 del 13 febbraio 2024 (doc. n. 2), ha formulato istanza al Presidente della Giunta regionale della Liguria, ai sensi dell'art. 32, comma 2, della legge n. 87 del 1953, ai fini della proposizione di ricorso in via principale a codesta ecc.ma Corte costituzionale per l'annullamento delle disposizioni di cui in epigrafe che, in ragione della violazione dei parametri di seguito precisati, appaiono gravemente lesive dell'autonomia finanziaria dei Comuni della Liguria, costituzionalmente garantita, della loro capacita' di spesa, dell'integrita' dei loro bilanci e del principio della leale collaborazione. La presente impugnativa si inserisce nel contesto di una serie di similari iniziative assunte negli scorsi anni dal Consiglio delle Autonomie della Regione Liguria volte a denunciare davanti a codesta ecc.ma Corte il perdurante stato, dopo ormai ventitre' anni dalla riforma della parte seconda della Costituzione, di grave inattuazione dell'art. 119 della Costituzione: da tali azioni giurisdizionali sono scaturite pronunce di significativo spessore che hanno fornito al legislatore indicazioni e principi per l'ordinato atteggiarsi delle relazioni finanziarie tra lo Stato e gli enti locali. E' noto come questi ultimi abbiano contribuito piu' di ogni altro comparto della pubblica amministrazione agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica: nel corso dell'ultimo decennio, infatti, sono stati falcidiati da plurimi tagli e dall'apposizione di molteplici vincoli finanziari che, tanto piu' in assenza di una quantificazione dei costi inerenti alle funzioni da finanziare, in relazione, anzitutto, alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, hanno indebolito strutturalmente i loro bilanci e, non di rado, hanno concorso a generare vere e proprie crisi finanziarie e gravi sperequazioni nel sistema. Il passaggio dal criterio di riparto delle risorse fondato sulla spesa storica a quello basato sulla capacita' fiscale e' stato preso a pretesto per - e ha coinciso con - una drastica riduzione di finanziamenti da parte dello Stato fino a quasi azzerare la componente verticale nella contribuzione al fondo di solidarieta' comunale che, unitamente alle risorse proprie connesse alla potesta' tributaria, devono assicurare agli enti locali, stante l'inequivocabile disposto dell'art. 119, comma 4, della Costituzione, le condizioni finanziarie per l'assolvimento delle proprie funzioni. Le manovre alle quali si e' assistito in questi anni - che hanno strutturalmente indebolito i bilanci dei Comuni e la loro capacita' di rispondere ai molteplici e crescenti bisogni dei cittadini - non sono mai state accompagnate da alcuna, sia pure minima, valutazione d'impatto, in spregio agli insegnamenti di codesta ecc.ma Corte in virtu' dei quali, pur in assenza di una garanzia quantitativa di risorse, la legittimita' dei vincoli finanziari nei confronti delle amministrazioni locali e' condizionata alla previa quantificazione delle ricadute e alla proporzionalita' rispetto alle condizioni economiche finanziarie dell'ente assoggettato (ex plurimis Corte costituzionale, sentenze nn. 19, 155 del 2015, 188 del 2016 e 247 del 2017). Deve stigmatizzarsi, al contempo, il mancato recepimento, da parte del legislatore, dei moniti formulati da codesta ecc.ma Corte nei menzionati arresti che sono scaturiti dalle disparate impugnative del Consiglio delle Autonomie Locali della Liguria per il tramite della Regione ricorrente. Si rammenta, anzitutto, la sentenza n. 220 del 2021 che, evidenziando la permanenza di criticita' significative nel sistema di riparto delle risorse tra i Comuni italiani, aveva esortato ad una tempestiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni, intesi come soglie di spesa costituzionalmente necessaria, atti, altresi', a prevenire il contenzioso tra lo Stato e le autonomie territoriali. A seguire si colloca la sentenza n. 71 del 2023 che, nel prendere atto dell'elevato tasso di confusione che caratterizza la disciplina del fondo di solidarieta' comunale, aveva accertato l'incostituzionalita' dei vincoli di destinazione che erano stati apposti sulle quote di perequazione verticale che il legislatore aveva inteso destinare esclusivamente alla spesa per asili nidi, trasporto bimbi disabili e funzioni sociali. Le disposizioni impugnate appaiono nuovamente distoniche rispetto al percorso di attuazione dell'art. 119 della Costituzione secondo il magistero reso da codesta ecc.ma Corte nella giurisprudenza teste' citata (e anche in altra che si richiamera' in seguito) e sono accomunate dall'effetto di privare nuovamente il comparto degli enti locali di ingenti risorse che si rivelano indispensabili per consentire l'esercizio delle loro attribuzioni, ancora una volta senza alcuna valutazione d'impatto e nella perdurante assenza della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e, quindi, in mancanza di una chiara definizione del quadro dei fabbisogni monetari da finanziare connessi alle funzioni degli enti locali. In sostanza, il legislatore, con la prima serie di norme, in pretesa attuazione della citata sentenza n. 71 del 2023, ha «svuotato» il fondo di solidarieta' comunale dei finanziamenti che erano stati in precedenza ivi collocati e vincolati per le specifiche finalita' ricordate, travasandoli integralmente in un nuovo fondo, denominato «Fondo per l'equita' del livello dei servizi», costituente un ambito di perequazione speciale ai sensi del comma 5 dell'art. 119, della Costituzione, suscettibile, pertanto, dell'apposizione di vincoli di destinazione (cosa invece non consentita per la perequazione generale richiamata dal comma 3 della norma costituzionale). Con il secondo ordine di disposizioni, la legge di bilancio ha, quindi, stabilito una nuova spending review, ancorche' fosse comunemente ritenuta ormai definitivamente cessata la stagione dei tagli lineari, del valore di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028. E' bene considerare come queste disposizioni cadano in un contesto storico in cui: a) si registra un incremento generalizzato della spesa per effetto dell'inflazione sull'intero costo della domanda di beni e servizi da parte delle amministrazioni locali; b) si assiste ad un aumento considerevole dei tassi di interesse che costringe i Comuni ad incrementare gli esborsi in parte corrente per assolvere agli oneri del servizio del debito; c) si aggiunge la c.d. spending review ex informatica di cui all'art. 1, comma 850, della legge n. 178 del 2020 che, per il biennio 2024-2025, conduce ad un ennesimo taglio lineare, che si assomma a quelli denunciati nella presente sede, del valore di 100 milioni di euro all'anno; d) si produce di anno in anno una continua erosione di somme ai danni di oltre quattromila Comuni italiani per effetto del progressivo imporsi del criterio della perequazione della capacita' fiscali nel riparto delle risorse del fondo di solidarieta' in assenza di un'adeguata componente verticale che consenta di sterilizzare tali pregiudizievoli effetti, sicche', anziche' produrre efficienza, si impone una compressione dei servizi: e) si verifica un costante incremento della spesa del personale a motivo dei periodici rinnovi connessi alla contrattazione collettiva. Appare evidente come in un contesto di questo tipo non siano sostenibili ulteriori contrazioni dei finanziamenti messi a disposizione del comparto se non a costo, a seconda dei casi, di un'intollerabile riduzione delle prestazioni dei servizi rese ai cittadini ovvero della compromissione del risultato dell'equilibrio di bilancio. Infine, con l'ultima disposizione impugnata, si introduce un'incomprensibile discriminazione tra Comuni sottoscrittori dei nuovi accordi con il Presidente del Consiglio dei ministri per favorire un percorso di risanamento finanziario, stabilendo che solo quelli in disavanzo di amministrazione possano beneficiare dell'esonero dal concorso agli obiettivi di finanza pubblica, anziche' tutti quelli interessati dall'applicazione del nuovo istituto dell'accordo. Ai Comuni Liguri, pertanto, non resta che rivolgersi a codesta ecc.ma Corte nell'auspicio che, ancora una volta, sapra' intervenire per assicurare le prerogative costituzionali delle amministrazioni locali e salvaguardarne l'integrita' del bilancio. 1) Sull'art. 1, commi 494 e 497, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1, 3, 4 e 5, e 120, comma 2, della Costituzione. Le disposizioni impugnate intendono dare attuazione alla sentenza n. 71 del 2023 della Corte costituzionale che, come si accennava in premessa, aveva esortato il legislatore a superare l'attuale situazione di «ibridazione» del fondo di solidarieta' comunale derivante dalla sovrapposizione di risorse destinate alla perequazione generale, senza vincoli di destinazione, e di risorse funzionali alla perequazione speciale, caratterizzata, invece, da obbligatorie finalita' di spesa. Si legge nella citata pronuncia: «(...) il compito di adeguare il diritto vigente alla tutela costituzionale riconosciuta all'autonomia finanziaria comunale - anche nel rispetto del principio di corrispondenza tra risorse e funzioni (ex plurimis, sentenza n. 135 del 2020) - al contempo bilanciandola con la necessita' di non regredire rispetto all'«imprescindibile» (sentenza n. 220 del 2021) processo di definizione e finanziamento dei LEP (la cui esigenza e' stata piu' volte, come detto, rimarcata da questa stessa Corte), non puo' che spettare al legislatore, dato il ventaglio delle soluzioni possibili (...) Questa Corte, pertanto, non puo', al momento, che arrestarsi e cedere il passo al legislatore, chiamandolo pero' a intervenire tempestivamente per superare, in particolare, una soluzione perequativa ibrida che non e' coerente con il disegno costituzionale dell'autonomia finanziaria di cui all'art. 119 della Costituzione». L'operazione del legislatore, al fine di consentire il superamento di un tale impianto, si e' risolta nel costituire, attraverso l'art. 1, comma 496, della legge n. 213 del 2023, un nuovo fondo di perequazione speciale, denominato Fondo per l'equita' del livello dei servizi, nel quale sono state travasate integralmente le somme in precedenza allocate nel fondo di solidarieta' comunale con il vincolo di destinazione. In particolare, come si rileva dalla presentazione resa dalla Ragioneria generale dello Stato alla XII Conferenza sulla finanza locale svoltasi in Roma lo scorso 25 gennaio 2024 (doc. n. 3), nel nuovo Fondo, che avra' vigenza dall'anno 2025 fino all'anno 20230, e' stata appostata una quota crescente di risorse per lo sviluppo dei servizi sociali comunali delle Regioni a Statuto ordinario, per lo sviluppo dei servizi sociali comunali Regione Siciliana e Sardegna, per servizi educativi per l'infanzia (asili nido) e per servizio trasporto studenti disabili. Ma tali somme erano gia' state allocate, tal quali, nel fondo di solidarieta' comunale, nel rispetto della medesima modulazione temporale e secondo le medesime finalita', di tal che' le disposizioni impugnate non hanno fatto altro che prevedere una migrazione di finanziamenti statali da un capitolo all'altro, senza introdurre alcuna sostanziale innovazione. In tal senso, ad avviso della Regione ricorrente, si e' trattato di un riassetto del tutto apparente della materia, di un'operazione meramente estetica, che non ha tenuto in alcuna considerazione le raccomandazioni espresse dalla Corte nella citata sentenza n. 71 del 2023 circa la necessita' di ordinare il sistema di perequazione alle effettive esigenze di finanziamento del comparto (principio di correlazione tra risorse e funzioni) e in ragione dell'esigenza di non regredire rispetto all'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni non ancora delineati. Quanto si intende censurare nella presente sede, in altri termini, non e' tanto la determinazione di introdurre nell'ordinamento della finanza locale un nuovo fondo vincolato a specifiche destinazioni (ancorche' si potrebbe dubitare della bonta' di un sistema di perequazione speciale che, anziche' essere sussidiario a quello generale, interessa oltre quattromila Comuni italiani, finanziando capitoli di spesa che dovrebbero trovare capienza, senza vincoli di destinazione, in un adeguato dimensionamento del fondo di solidarieta' comunale), bensi' il fatto che cio' sia avvenuto a totale discapito del fondo di perequazione generale, privandolo quasi del tutto della componente verticale (e tale effetto deve essere valutato in combinato disposto con le disposizioni - che vengono parimenti censurate nella presente sede - che stabiliscono il nuovo taglio lineare per il periodo 2024-2028). Ribadisce, infatti, la Regione ricorrente che codesta ecc.ma Corte aveva auspicato un riassetto del fondo di solidarieta' comunale basato su due pilastri: da un lato, il gia' citato principio di correlazione tra risorse e funzioni e, dall'altro, l'esigenza che tale riorganizzazione fosse congrua rispetto alla definizione dei LEP. La soluzione assunta dalla legge di bilancio, viceversa, non risponde ad alcuna di tali sollecitazioni perche', con un intervento di chirurgia normativa, si limita a spostare le risorse da un fondo ad un altro senza in alcun modo farsi carico di considerare se tali risorse siano adeguatamente dimensionate ai fabbisogni monetari da finanziare (principio di correlazione tra risorse e funzioni) e se tali risorse siano effettivamente congrue rispetto all'esigenza di evitare regressioni nell'attuazione dei LEP che, per inciso, non sono certamente solo quelli alla cui attuazione e' stato preordinato il nuovo Fondo (funzioni sociali, trasporto disabili ed asili nido). Non puo' sottacersi, a tal riguardo, come appaia del tutto fuorviante sul piano concettuale l'idea che i LEP, che sono trasversali alle funzioni fondamentali degli enti locali, debbano essere finanziati attraverso un imponente sistema di perequazione speciale con vincoli di destinazione, anziche' nel contesto della perequazione generale, ferma la responsabilita' di ogni ente nel doverli assicurare, a fronte di un adeguato finanziamento del fondo di solidarieta' comunale. Deve stigmatizzarsi, sotto tale profilo, l'ennesimo intervento scomposto in un ambito tanto rilevante della finanza locale che elude ancora una volta la questione di fondo che emerge dalla sentenza n. 71 e che attiene, ad avviso di questa difesa, alla necessita' di dotare gli istituti perequativi, nel rispetto della Costituzione, di risorse adeguate a garantire agli enti locali l'effettiva possibilita' di svolgere le funzioni ad essi attribuite dalla legge senza mortificarne l'autonomia finanziaria. E che questi finanziamenti non siano adeguati - ma che, anzi, siano decisamente inferiori alle reali necessita' - oltre a costituire ormai fatto notorio per effetto delle molteplici manovre di finanza pubblica che si sono abbattute sul comparto, risulta, altresi', comprovato dai molteplici rapporti presentati dall'Istituto per la finanza locale di ANCI, nonche' dalle evidenze emerse nei precedenti giudizi dinanzi a codesta ecc.ma Corte: rispetto a tali evidenze, peraltro, si registra un continuo aggravamento della situazione a motivo, principalmente, degli effetti inflattivi, dell'incremento dei tassi di interesse, dell'acuirsi abnorme del costo del personale e dell'ulteriore sottrazione di risorse che deriva dal combinato disposto dei nuovi tagli lineari, della c.d. ex spending review informatica e degli effetti del tutto pregiudizievoli che produce la perequazione per oltre quattromila enti locali in Italia. Le disposizioni impugnate violano, inoltre, il principio della tipicita' degli strumenti perequativi e «la scelta legislativa di perequazione verticale effettuata in sede di riforma del Titolo V della Costituzione mediante la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3" (Corte costituzionale, sentenze nn. 176 del 2012 e 46 del 2013). Per effetto di esse, infatti, la quota residua di natura verticale sul fondo di solidarieta' comunale ammonta a soli 300 milioni di euro, al netto del nuovo taglio disposto dalla legge di bilancio per il 2024, a fronte di una consistenza complessiva del fondo, esclusa la parte ristorativa dei minori gettiti dei tributi locali derivanti da manovre statali di agevolazione, pari a circa euro 2 miliardi e 800 milioni, finanziata, quasi integralmente, attraverso il prelievo forzoso dell'IMU dei Comuni. In proposito, giova osservare come la sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 220 del 2021, al paragrafo 5.2, nel dare conto di come l'istruttoria avesse dimostrato la sussistenza di significative criticita' nel riparto delle risorse tra i Comuni italiani, aveva espressamente individuato tra le cause di esse «il carattere meramente orizzontale che aveva assunto il fondo di solidarieta' comunale» e, ancora prima, la sentenza n. 61 del 2018 aveva chiarito in modo molto esplicito che «la nostra Carta costituzionale contempla un sistema perequativo di tipo verticale che prevede l'intervento diretto a carico dello Stato (...)». Deve, dunque, censurarsi in questa sede il ridimensionamento della componente verticale del fondo di solidarieta' comunale che discende dalle disposizioni impugnate e che costituisce un netto arretramento rispetto al superamento della stagione dei tagli lineari, agli sforzi, intrapresi negli ultimi anni e oggetto di vari accordi tra lo Stato e l'ANCI, volti alla reintegrazione di risorse statali in precedenza sottratte agli enti locali, e rappresenta, altresi', una palese violazione del principio della perequazione verticale che discende dalla Costituzione. Ne consegue l'illegittimita' costituzionale delle norme di cui in rubrica per la violazione dei parametri dedotti. 2) Sull'art. 1, commi 533, 534 e 535, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1, 3, 4, e 120, comma 2, della Costituzione. - L'art. 1, comma 533, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 ha previsto un nuovo concorso agli obiettivi di finanza pubblica a carico dei Comuni delle Regioni a Statuto ordinario e dei Comuni delle Regioni Sicilia e Sardegna. Tale disposizione stabilisce che «ai fini della tutela dell'unita' economica della Repubblica, in considerazione delle esigenze di contenimento della spesa pubblica e nel rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica, nelle more della definizione delle nuove regole della governance economica europea, i comuni, le province e le citta' metropolitane delle regioni a statuto ordinario, della Regione siciliana e della regione Sardegna assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 250 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, di cui 200 milioni di euro annui a carico dei comuni e 50 milioni di euro annui a carico delle province e delle citta' metropolitane, ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente al netto della spesa relativa alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, degli schemi di bilancio degli enti locali, come risultanti dal rendiconto di gestione 2022 o, in caso di mancanza, dall'ultimo rendiconto approvato e tenuto conto delle risorse del PNRR assegnate a ciascun ente alla data del 31 dicembre 2023, cosi' come risultanti dal sistema informativo di cui all'art. 1, comma 1043, della legge 30 dicembre 2020, n. 178». La misura in esame, come specificato in premessa, va a sommarsi ad altre che operano contestualmente (come spending review c.d. ex informatica e sottrazione sistematica di risorse per effetto dell'implementazione del sistema di perequazione) e che in una fase storica caratterizzata da un significativo incremento del costo della vita rischiano di pregiudicare l'equilibrio di bilancio, gia' precario, di molte amministrazioni locali e, soprattutto, di compromettere la capacita' di erogare i servizi ai cittadini, in primis i livelli essenziali delle prestazioni. Ancora una volta, infatti, si e' trattato di un taglio lineare, del significativo importo di euro 200 milioni per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, eseguito in carenza di qualsivoglia indicatore d'impatto, nella piu' totale mancanza di percezione in ordine alle conseguenze che potrebbe produrre, per giunta - e cio' risulta assai grave - nella perdurante assenza della definizione dei LEP e nell'omessa considerazione dei moniti piu' volte formulati da codesta ecc.ma Corte di non regredire rispetto all'attuazione dei LEP (ex plurimis Corte costituzionale, sentenze n. 71 del 2023). Ne' si coglie quale nesso vi possa essere tra la decisione di queste nuova ingente decurtazione di risorse e la definizione delle nuove regole di governance europea a cui la norma impugnata fa cenno. Per cogliere appieno l'effetto di tale intervento e il contesto di continua sottrazione di risorse entro cui lo stesso si colloca, giova riportare quanto riferito nel dossier predisposto dai servizi studi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica sulla legge di bilancio 2024, secondo cui «il contributo alla finanza pubblica richiesto agli enti locali a partire dal 2020 e' stato assicurato, oltre che attraverso le regole e gli obiettivi del patto di stabilita' interno (disciplina peraltro sostituita, a decorrere dal 2016, dalla nuova regola fiscale del pareggio di bilancio), anche tramite interventi di progressiva riduzione delle risorse a disposizione delle amministrazioni locali, allocate sui c.d. fondi di riequilibrio istituiti a seguito del varo della legge di attuazione del federalismo fiscale (per i comuni, ora Fondo di solidarieta' comunale), che hanno obbligato gli enti ad intraprendere percorsi di revisione della spesa corrente. Il contributo finanziario cumulato richiesto dai tre principali interventi di spending review (decreto-legge n. 95 del 2012, decreto-legge n. 66 del 2014 e legge n. 190 del 2014), in termini di riduzione delle risorse del Fondo di solidarieta' comunale, ammonta a oltre 4,3 miliardi per il comparto dei comuni, poi scesi dal 2019 a 3,8 miliardi, anno in cui sono venuti meno gli effetti del decreto-legge n. 66 del 2014». Se si comparano questi dati con quanto residua del fondo di solidarieta' comunale al netto della quota ristorativa, ci si avvede della dimensione abnorme del concorso alla finanza pubblica che e' stato chiesto al comparto dei Comuni negli ultimi anni. Come indicato nel dossier citato, il taglio odierno deve essere posto in correlazione con le precedenti manovre di spending review e, in particolare, con quella disposta dall'art. 47, comma 8, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, nella legge n. 89 del 2014 che aveva previsto una decurtazione di 563,5 milioni di euro a carico del fondo di solidarieta' comunale fino all'anno 2019. Siccome, al termine dell'anno 2019, lo Stato aveva manifestato l'intenzione di non restituire integralmente le risorse in precedenza sottratte, fu raggiunto un faticoso accordo politico con l'ANCI, recepito nell'art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, che aveva previsto la progressiva ricostituzione dei finanziamenti secondo la seguente scansione temporale: 100 milioni di euro nel 2020, 200 milioni di euro nel 2021, 300 milioni di euro nel 2022, 330 milioni di euro nel 2023 (poi divenuti 380 milioni) e 560 milioni di euro a decorrere dal 2024. Dunque, a partire dal corrente anno, il taglio lineare del 2014, oggetto di una progressiva e lunga restituzione, avrebbe dovuto essere del tutto eliminato: ma non e' cosi', posto che proprio sul finire dell'anno 2023 e' subentrata la nuova legge di bilancio che, nella sostanza, lo ha perpetuato di ulteriori quattro anni!. Ne consegue, pertanto, che ci troviamo di fronte ad una decurtazione di risorse della durata, a legislazione attuale, di ben quattordici anni (dal 2014 al 2028) che stride con tutti i principi piu' volte espressi in materia da codesta ecc.ma Corte. Nello specifico, ai fini di una piu' completa valutazione della vicenda, va rimarcato che la Regione Liguria aveva impugnato il citato art. 1, comma 849, della legge n. 160 del 2019, nella parte in cui, anziche' prevedere il ripristino integrale delle risorse eliminate nel 2014, ne aveva previsto la ricostituzione graduale entro l'anno 2024, e codesto ecc.mo Giudice, nel dichiarare infondata la questione, aveva preso atto dell'intervenuto accordo politico con l'ANCI, precisando che «il raggiungimento dell'intesa nel caso di specie» - si legge nella sentenza n. 220 del 2021 - «assume un particolare valore, perche' rappresenta l'inizio della graduale ricostituzione della componente verticale di risorse del FSC a disposizione degli enti locali. In questo senso, la norma impugnata segna una netta soluzione di continuita' rispetto alla fase dei tagli lineari e inaugura il progressivo ripristino dell'ammontare originario del FSC». E' del tutto evidente come le disposizioni impugnate segnino, oltre che una discontinuita', un importante arretramento rispetto a quanto osservato dalla Corte, atteso che, da un lato, rivitalizzano quella stagione dei tagli lineari che si auspicava essere stata definitivamente superata, e che tanti guasti ha portato al sistema; dall'altro, indeboliscono significativamente quella componente verticale del fondo di solidarieta' comunale che, in virtu' delle ragioni gia' espresse al paragrafo precedente, risponde ad una precisa esigenza stabilita dalla Costituzione e la cui assenza, come osservato nella sentenza n. 220 del 2021, era stata una tra le principali cause delle criticita' rilevate dalla Corte nel riparto delle risorse tra i Comuni. Esse, in spregio alle prerogative di autonomia finanziaria degli enti locali, violano tanto il principio del divieto di tagli lineari di carattere permanente quanto il principio della leale collaborazione. Giova ricordare, con riferimento al primo, l'insegnamento per il quale «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla condizione, tra l'altro, che si limitino a prevedere un contenimento complessivo della spesa corrente dal carattere transitorio (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 154 del 2017, n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso, sentenze n. 44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011). Non e' in discussione il potere del legislatore statale di programmare risparmi anche di lungo periodo relativi al complesso della spesa pubblica aggregata. E questa Corte ha, anzi, gia' chiarito che «una censura che lamenta il presunto carattere permanente dello specifico contributo non e' provata dalla circostanza che essa si aggiunga agli effetti delle precedenti manovre di finanza pubblica» (sentenza n. 154 del 2017). Tuttavia, le singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare il carattere della temporaneita', al fine di definire in modo appropriato, anche tenendo conto delle scansioni temporali dei cicli di bilancio e piu' in generale della situazione economica del Paese, «il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, evitando la sostanziale estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre che potrebbe sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici di queste ultime in un periodo piu' lungo» (sentenza n. 169 del 2017) (Corte costituzionale, sentenza n. 103 del 2018). Nella fattispecie, come gia' rimarcato, le disposizioni impugnate perpetuano un taglio, a legislazione attuale, della durata di quattordici anni e si concretizzano, segnatamente, nella «sostanziale estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre (...)», con cio' infrangendo, ad avviso di questa difesa, il magistero della Corte in ordine al carattere temporalmente limitato dei tagli lineari. E ancora: «la riduzione sproporzionata delle risorse, non corredata da adeguate misure compensative, e' infatti in grado di determinare un grave vulnus all'espletamento da parte delle Province [e dei Comuni] delle funzioni espressamente conferite dalla legge (...). Dunque, la forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuita' ed in settori di notevole rilevanza sociale risulta manifestamente irragionevole proprio per l'assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento (su analoga questione, sentenza n. 188 del 2015)» (Corte costituzionale, sentenza n. 10 del 2016). In tal senso, deve ulteriormente ribadirsi come la misura in esame rappresenti un nuovo tassello di un complessivo mosaico di manovre di finanza pubblica (perequazione, spending review informatica, impoverimento del fondo di solidarieta' comunale) che, unitamente considerate, sortiscono l'effetto di indebolire irreversibilmente il comparto degli enti locali. Ne' valga opinare, in senso contrario, che la disposizione impugnata, nel prevedere che il taglio debba essere ripartito in proporzione agli impegni di spesa corrente, fa espressamente salva la spesa relativa alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia: intanto perche' si tratta di un vincolo lesivo dell'autonomia di spesa dei Comuni, costituzionalmente tutelata, nel senso che ogni ente, al netto della spesa obbligatoria per legge, dovrebbe essere lasciato quantomeno libero di decidere su quali linee di azione assorbire il taglio; in secondo luogo perche', anche nella prospettiva del consolidamento ope legis della spesa sociale, in assenza di una complessiva valutazione d'impatto, tale guarentigia non assicura in alcun modo la capacita' dell'ente di assicurare l'equilibrio del bilancio e, conseguentemente, anche la capacita' di mantenere inalterata la spesa relativa alla missione 12. Non v'e' chi non vede come la disposizione in esame, sotto tale profilo, appaia del tutto irrealistica, se non, addirittura, «canzonatoria», e certamente non garantisca il rispetto di quanto indicato da codesta ecc.ma Corte circa l'inderogabile necessita' di non arretrare dai LEP, i quali, evidentemente, non attengono alla sola missione 12. Ancora una volta risulta infranto il principio di correlazione tra risorse e funzioni, atteso che il legislatore, all'atto di effettuare le censurate decurtazioni, non si e' minimamente posto il problema di valutarne le possibili conseguenze in un quadro di finanza locale gia' assai precario in considerazione delle circostanze esposte, ponendo, altresi', vincoli del tutto irragionevoli e decontestualizzati. E' evidente, semmai, come disposizioni quali quelle impugnate, che accrescono il gia' notevole divario tra il valore delle capacita' fiscali e delle disponibilita' della perequazione, da un lato, e l'ammontare complessivo dei fabbisogni standard, dall'altro, sortiscano il solo effetto di pregiudicare irreversibilmente l'esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e di porre in gravissime difficolta' gli amministratori locali nel rispondere alla crescente domanda di servizi da parte della cittadinanza nei molteplici campi in cui si esplica l'azione dei Comuni. E' cosi' violato anche il divieto di non regredire nell'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sancito nella sentenza n. 71 del 2023, posto che una sottrazione cosi' significativa di risorse non potra' che ulteriormente impattare, compromettendola, sull'erogazione ai cittadini di quelle prestazioni che devono essere obbligatoriamente garantite da parte degli enti locali e che, stante anche l'effetto dell'inflazione, sono sempre piu' onerose da finanziare. A questo riguardo, si ritiene, peraltro, che, considerato il monito espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 220 del 2021 circa la necessita' di definire i LEP, dovrebbe essere vietata qualsiasi ulteriore riduzione di risorse al buio, ovvero senza la minima percezione in ordine alle conseguenze che produce, perche' il rischio di pregiudicare l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, che sono un bene di valore costituzionale, e' troppo alto e non puo' essere corso. D'altra parte, in assenza di una previa quantificazione della spesa da finanziare, almeno con riferimento ai LEP, non si comprende come possano essere disposte ulteriori forme di contributo alla finanza pubblica da parte dei Comuni. E' significativo osservare, a tal riguardo, che il DDL sull'autonomia differenziata, recentemente approvato dal Senato, ha subordinato alla previa definizione dei LEP ogni decisione sui criteri di riparto delle risorse e ogni concessione di forme potiori di autonomia in favore delle Regioni a Statuto ordinario. Nel sistema della finanza locale, invece, si inverte l'ordine dei fattori, dapprima riducendo le risorse, quindi, attuando successivamente i LEP (ammesso e non concesso che tale definizione prima o poi sara' approntata dal legislatore). Infine, le disposizioni impugnate violano palesemente il principio della leale collaborazione in quanto i Comuni italiani, tramite l'ANCI, avevano riposto una qualificata aspettativa ed un ragionevole affidamento sul fatto che la stagione dei tagli lineari fosse ormai definitivamente superata e che le risorse eliminate nel 2014, cosi' com'era stato sancito nell'intesa enfatizzata da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 220 del 2021, venissero integralmente ripristinate a decorrere dal 2024, avendo gia' dovuto accettare una restituzione graduale nell'anno 2019. La fiducia dei Comuni, dopo essere stata tradita una prima volta nel 2019 con una restituzione solo parziale delle risorse promesse, viene tradita una seconda volta nel 2024, prorogando il taglio fino al 2028, in spregio all'intesa intercorsa. Donde, anche sotto tale profilo, l'incostituzionalita' delle disposizioni denunciate. Resta solo da precisare come l'illegittimita' del comma 533 travolga, in via derivata, anche i commi 534 e 535 dell'art. 1 della legge n. 213 del 2023 che attengono, rispettivamente, al procedimento di determinazione degli importi del contributo alla finanza pubblica a carico di ciascun Comune e alla modalita' di «erogazione» dello stesso mediante una trattenuta sulle quote del fondo di solidarieta' comunale. 3) In via gradata: sull'art. 1, comma 533, legge 30 dicembre 2023, n. 213, per contrasto con gli articoli 3, 5, 114, 119, commi 1, 3, 4, e 120, comma 2, della Costituzione. Nella denegata ipotesi in cui codesta ecc.ma Corte dovesse ritenere infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui ha stabilito un nuovo contributo alla finanza pubblica da parte dei Comuni, si insta affinche', sotto altro profilo, sia dichiarata l'incostituzionalita' della disposizione di cui in rubrica. Il secondo periodo del comma 533 stabilisce quanto segue: «Sono esclusi dal concorso di cui al periodo precedente gli enti locali in dissesto finanziario, ai sensi dell'art. 244 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, o in procedura di riequilibrio finanziario, ai sensi dell'art. 243-bis del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, alla data del 1° gennaio 2024 o che abbiano sottoscritto gli accordi di cui all'art. 1, comma 572, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, e di cui all'art. 43, comma 2, del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2022, n. 91». La disposizione in esame esenta, dunque, dall'applicazione del taglio una serie di Comuni che si trovano in condizioni precarie e sono oggetto di speciali misure di riequilibrio finanziario, il cui effetto, evidentemente, sarebbe pregiudicato nel caso dovessero anch'essi concorrere agli obiettivi di finanza pubblica. Tra questi, oltre agli enti in dissesto e in procedura di riequilibrio, si annoverano quelli che hanno sottoscritto i patti con il Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 1, comma 572, della legge n. 234 del 2021 e dell'art. 43, comma 2, del decreto-legge n. 50 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 91 del 2022: non vi sono invece ricompresi i Comuni che, come il Comune di Genova, hanno sottoscritto i medesimi patti ai sensi del comma 8 del citato art. 43. Cio', ad avviso di questa difesa, appare incomprensibile e discriminatorio, con ricadute pesanti sul piano dell'autonomia finanziaria. Ma andiamo con ordine. Le disposizioni citate hanno introdotto nell'ordinamento della finanza locale il nuovo istituto dell'accordo tra il Presidente del Consiglio dei ministri e i Sindaci di Comuni che abbiano deciso di avviare un determinato percorso di risanamento finanziario che prevede, da parte loro, l'utilizzo della leva fiscale attraverso l'incremento delle addizionali all'imposta sul reddito delle persone fisiche, in deroga al limite ordinario, ovvero mediante l'istituzione di un'addizionale ai diritti di imbarco portuale o aeroportuale fino a tre euro a passeggero. Tali enti, al tempo stesso, devono obbligarsi a conseguire specifici obiettivi di miglioramento delle loro performance di riscossione, ad incrementare la redditivita' del proprio patrimonio, nonche' ad attuare misure organizzative che consentano una razionalizzazione dei servizi e un contenimento della spesa. A fronte di tali impegni, costantemente monitorati dal Ministero dell'Interno, viene riconosciuto dallo Stato un contributo finanziario in loro favore. La misura in esame e' stata dapprima prevista dall'art. 1, comma 573, della legge n. 234 del 2021 in favore dei soli Comuni capoluoghi sede di Citta' metropolitana con disavanzo pro capite pari a 700 euro a cui, a fronte della sottoscrizione dell'accordo, e' stato assicurato un contributo di euro 2 miliardi e 670 milioni dall'anno 2022 all'anno 2042: tale contributo deve essere destinato al finanziamento del ripiano annuale del disavanzo di amministrazione. Successivamente, con l'art. 43, commi 2 e 8, del decreto-legge n. 50 del 2022, convertito, con modificazioni, nella legge n. 91 del 2022, l'istituto dell'accordo, con la possibilita' di attivare le relative misure tributarie, e' stato esteso, in un primo tempo senza contributo, ai Comuni capoluogo di Provincia con disavanzo pro capite pari ad euro 500 (comma 2) e ai Comuni sede di Citta' metropolitana in una condizione di equilibrio di amministrazione ma con debito pro capite superiore ad euro 1.000 «che intendano avviare un percorso di riequilibrio strutturale». Solo recentemente, con l'art. 1, comma 470, della legge n. 213 del 2023, a fronte degli sforzi, anche fiscali, intrapresi dalle amministrazioni interessate per risanare i propri bilanci, e' stato previsto un contributo da parte dello Stato in favore di questi Comuni pari a 50 milioni di euro, per ciascuno degli anni dal 2024 al 2034, da ripartire in proporzione delle quote del disavanzo da ripianare per i Comuni in disavanzo (comma 2, dell'art. 43) e del debito da restituire per i Comuni in sovra-indebitamento (comma 8, dell'art. 43). Allo stato attuale, a quanto consta, sono in tutto tredici i Comuni italiani che hanno aderito agli accordi, di cui quattro rientrano nella previsione di cui all'art. 1, comma 572, della legge 234 del 2021 e sono quelli che drenano maggiori risorse (Napoli, Torino, Palermo e Reggio Calabria) mentre 9 si riconducono alle fattispecie di cui al decreto-legge n. 50 del 2022 (Salerno, Potenza, Vibo Valenzia, Lecce, Alessandria, Genova, Avellino, Brindisi e Venezia): di questi ultimi solo Genova e Venezia ricadono nel comma 8 del citato art. 43, essendo Comuni in equilibrio di bilancio ma assai bisognosi di un percorso di consolidamento strutturale a motivo dell'elevato debito pro capite; tutti gli altri, essendo enti in disavanzo di amministrazione, appartengono al comma 2 della medesima disposizione. Va rimarcato che la Corte dei conti, in merito a tali accordi, ha formulato un giudizio del tutto positivo, ritenendo che queste procedure di affiancamento e sostegno finanziario nel percorso di risanamento costituiscono «un modello per una riforma sistematica dell'impianto normativo posto a presidio delle criticita' finanziarie degli enti locali» (Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali anno 2022). Si tratta, oltretutto, di strumenti che favoriscono l'assunzione di responsabilita' davanti alle generazioni presenti e future da parte delle amministrazioni che vi ricorrono e la leale e reciproca collaborazione con lo Stato. Il Sindaco del Comune di Genova ha sottoscritto in data 1° ottobre 2022 il patto con il Presidente del Consiglio dei ministri (doc. n. 4) e, in ragione di esso, con delibera ha azionato un incremento fino a quattro punti dell'addizionale comunale all'IRPEF e si e', altresi', impegnato all'istituzione di diritti di imbarco portuale, oltreche' al potenziamento della propria capacita' di riscossione. Cio' premesso, la disposizione impugnata, nella parte in cui manda esenti dall'applicazione del taglio lineare di cui al primo periodo solo i Comuni in disavanzo di amministrazione di cui al comma 572 dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021 e di cui al comma 2 dell'art. 43 del decreto-legge n. 50 del 2022 - e non gia' anche quelli di cui al comma 8 dello stesso art. 43, impegnati nel medesimo percorso di risanamento - appare incostituzionale sotto disparati profili. Intanto per manifesta irragionevolezza e contraddittorieta' in raffronto all'art. 1, comma 470 dell'ultima legge di bilancio che ha previsto il contributo finanziario annuale di euro 50 milioni, tanto per i Comuni di cui al comma 2 quanto per quelli di cui al comma 8 del menzionato art. 43, da ripartire in proporzione alle quote annuali del ripiano del disavanzo e delle rate di restituzione del debito: non si coglie, sotto tale aspetto, come sia logicamente possibile, da un lato prevedere l'erogazione di un contributo a sostegno del virtuoso percorso intrapreso da questi Comuni, dall'altro sottrarre risorse ai medesimi Comuni per effetto del taglio generale, cosi' vanificando, almeno in parte, l'efficacia del primo contributo. In altri termini, l'azione dello Stato che accomuna i Comuni di cui al comma 2 a quelli di cui al comma 8 ai fini del contributo, per poi distinguerli ai fini dell'esenzione dal taglio lineare, appare viziata per difetto di ragionevolezza, oltreche' palesemente discriminatoria, con chiaro riverbero sull'autonomia finanziaria, atteso che e' stato lo stesso legislatore, peraltro in modo del tutto condivisibile, a porre questi Comuni sullo stesso piano in quanto tutti bisognosi di intraprendere un percorso di risanamento finanziario e tutti impegnati nell'adozione delle misure stabilite nell'accordo, i primi perche' in disavanzo, i secondi perche' alle prese con l'ammontare di un debito sempre piu' insostenibile, complice anche l'incremento dei tassi di interesse, con tutta probabilita' causa di futuri squilibri. Siccome tutti i Comuni oggetto delle menzionate disposizioni hanno adottato le misure previste dai patti - non di rado, attraverso l'incremento delle addizionali, cosi' imponendo sacrifici significativi ai loro cittadini (si evidenzia, a questo riguardo, che il Comune di Genova e' quello che ha adottato l'incremento piu' significativo delle addizionali in comparazione con gli altri) - va da se' che gli stessi Comuni debbano essere equiparati, non solo per il fatto di beneficiare del contributo statale, ma anche nella comune sottrazione all'applicazione della norma che sancisce il nuovo contributo degli enti locali alla finanza pubblica. Diversamente - si ripete - si compromette l'efficacia dell'azione dello Stato per il tramite del nuovo istituto del patto celebrato anche dalla Corte dei Conti come misura effettivamente in grado di prevenire o superare le crisi finanziarie degli enti locali perche', da un lato, riconoscendo lo sforzo di questi Comuni, si erogano loro risorse per sostenerne il percorso di risanamento, dall'altro, per altra via, si sottraggono risorse agli stessi Comuni, cio' che, francamente, appare illogico e non certo coerente con il mutuo spirito di collaborazione che discende dall'accordo. Si insta, quindi, affinche' codesta ecc.ma Corte costituzionale, in ragione della violazione dei parametri di cui in rubrica, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata nella parte in cui non prevede che anche i Comuni di cui all'art. 43, comma 8, del decreto n. 50 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2022, siano esonerati dal contributo alla finanza pubblica disposto dal primo periodo della medesima disposizione.